giovedì, febbraio 11, 2010

Parte 28 - Sanna - Che roba è? dell' Aiga!

di Gigi Sanna

Non è chi non veda che nel documento lapideo di Aiga di Abbasanta, presentato in maniera asciutta ma molto precisa da A. Martometti, si trova, sia pur lacunoso, l’incipit della pietra Pitzinnu di Abbasanta. Manca solo il

‘lamed’ (dovuto evidentemente al fatto che la pietra si trova scheggiata in tutta la parte superiore) al di sopra

Disegno

Traslitterazione della pietra di Aiga

della piccola Tanit, ovvero della lettera ‘he’ che funge, come in Abbasanta da segno commentatore ( v. tabella alfabetica).
Mi ha colpito particolarmente il fatto che sia stato detto che la lettera in forma di corna (lettera 3 del grafico fatto da Martometti) sia simile a quella della pietra di Abbasanta. Perché non era facile capirlo dal momento che sopra di essa è tracciata un’altra lettera ‘accorpata’, verosimilmente un yod (che in nuragico è di norma messo alla fine ed è segno di autorità assoluta e di distinzione: aba -y, gigaha(n)lo –y, wusurw –y, Gain –y, ecc.). Dirò di più, che il segno dello ‘shin’ (scambiato dall’ Usai e compagnia per una M latina: che Iddio li perdoni!) è lo stesso che si trova ripetuto due volte nel primo masso della capanna di Perdu Pes di Paulilatino e circa 12 volte nel masso sottostante, sempre della capanna.
E’ solo orientato diversamente perché , com’è noto, nel codice protosinaitico e nel protocananeo valeva il
Pedru Pes

Il masso scritto di Pedru Pes

principio della libertà di orientamento del segno. E infatti in Pitzinnu è orientato con i corni verso destra, in Perdus Pes con i corni rivolti verso il basso ( o visti di fronte), in Aiga a sinistra. Quanto poi alle due lettere beth sono di tipo molto arcaico e basta prendere qualsiasi repertorio di segni protocananei o fenici arcaici per capirlo. Stando alle date proposte dagli studiosi sui documenti più antichi ( v. ad es. Garbini, Amadasi, Cordano, ecc.) la lastra di Aiga va ricondotta al periodo della scritta del sarcofago di Ahiram (che alcuni pongono persino nel XIII secolo a.C.).
Naturalmente i segni più interessanti sono quelli pittografici come il serpentello (lettera 1 del grafico del Martometti) e la cosiddetta Tanit con valore di ‘he’ ( pronome semitico commentatore o ‘indicatore: Lui/lei), Quest’ultimo segno è ripetuto in forma più grande nella parte bassa della lastra. Non è perfettamente visibile nel corpo ma il segno circolare della testa e le due ‘braccine’ non sono da mettere in discussione. Anche questo, con ogni probabilità, fungeva, così come il primo, da segno commentatore; ‘commentava’ cioè una parola (un appellativo, forse
Pitzinnu

La scritta di Nuraghe Pitzinnu

della divinità) che lo precedeva. Ma c’è ancora dell’altro da aggiungere: le due cosiddette ‘Tanit’ sono polisemiche cioè oltre ad avere il valore alfabetico che si è detto, con il loro numero (il due) alludono anche al valore della bipenne o, se si vuole, della luna (aspetto femminile della divinità). E’ una caratteristica questa, dell’iconografia nuragica.
In questo stesso Blog la abbiamo mostrata con il coccio di Orani riproducente il nome di YHWH יהוה (con il determinativo che precede: h yhw יהו ה). Ma la maggiore applicazione delle due ‘tanit’, quella davvero macroscopica, si trova nelle tre tavolette bronzee di Tzricotu di Cabras (A3, A4, A5) dove i due segni, chiarissimi nella loro simbologia, sono collocati una volta in alto e una volta in basso dei documenti. Cosa questa che ovviamente denuncia, insieme al resto, quanto essi siano longobardi o bizantini ( che Iddio perdoni anche l’inventore di una tale immensa, catastrofica stupidaggine).
Ho già detto altre due o tre volte in questo Blog, dati i non pochi ritrovamenti, che per me ‘la partita’ sulla scrittura era chiusa. E non era certo una battuta per sbarazzarmi di due o tre che abbaiavano alle ombre. Ora però mi permetto di aggiungere, stando come stanno le cose, che è davvero uno scandalo per l’archeologia e la scienza epigrafica (sarda e non) che la si lasci giocare ancora qui e là questa partita, sempre dagli stessi e in ambienti chiusi, di assoluta sterilità scientifica e di ipersupina compiacenza. Quasi che le persone non vedessero con i propri occhi e non capissero. Ho tuttavia aggiunto, per i più cocciuti, che proprio perché essi ancora scrivono inventandosi carte fasulle o che non hanno proprio, tanti o tantissimi ormai in Internet leggono esterrefatti
Alfabeto

L'alfabeto usato in Aiga, Pitzinnu, Padru Pes

cose al limite dell’assurdo: persino vuote (e impotenti) parole (quando non sono insulti) seguite da 5 o da 6 violenti e arroganti punti esclamativi. Perché allora non 250 o 500 o 1000? Anch’io, invidioso come sono, voglio la mia piccola parte di gloria numerica, come Sergio Frau.
Comunque, lasciandoci alle spalle tanta e tale piccineria, crediamo che ormai sia tempo di fare un certo bilancio e di consegnare un po’ di conti a certuni (e agli scettici di maniera) in tema di scrittura nuragica.
F. Barreca scriveva nel 1986, nelle pagine del suo famoso volume dedicate all’epigrafia fenicia (cap. III), che ‘i documenti epigrafici fenici (intendendo con questi anche i punici) rinvenuti in Sardegna ed oggi conosciuti, sono un centinaio ( più precisamente 99) fra editi ed inediti’. Oggi non sappiamo ( almeno io non so) quanti altri documenti fenici ‘editi e inediti’ si siano aggiunti a quelli contati dal Barreca; ma ammettiamo pure che siano qualche decina. Si raggiungerebbe così il numero di centodieci –centoventi.
Ora, considerando che i documenti epigrafici nuragici (con scrittura in protosinaitico, in protocananeo, in gublitico, in ugaritico e fenicio arcaico) della seconda metà del Secondo Millennio a.C. sono ormai più di quaranta, si potrà chiaramente ricavare che in un tempo di neanche venti anni (dal 1995: anno della scoperta delle tavolette bronzee di Tzricotu di Cabras e dell’anello sigillo di Pallosu di San Vero Milis) il numero dei documenti sardi ha raggiunto e forse superato quello di un terzo dei cosiddetti documenti ‘fenici e punici’ e quasi raggiunto il numero dei documenti strettamente ‘fenici’ (non punici né neopunici), che non va oltre la cinquantina.
I 20 anni goduti dalla mia individuale e solitaria ricerca della scrittura nuragica devono essere paragonati, ovviamente, ai quasi 250 (duecentocinquanta) goduti dalla intensa (accademica) ricerca della scrittura fenicia, che ha come inizio (ma solo apparente, essendo il documento nuragico) la data della Stele di Nora del 1773. Dal momento che si assiste al ritrovamento, quasi mensile, di nuovi documenti, è lecito ipotizzare che, con l’attenzione maggiore per il fenomeno e in virtù della conoscenza più precisa dei segni alfabetici nuragici, fra qualche anno gli studiosi avranno a disposizione più documenti epigrafici del periodo nuragico che documenti del periodo fenicio punico.
E dirò di più, senza rischiare più di tanto: fra non molto i documenti sardi con scrittura semitica e con alfabeto di natura consonantica protosinaitica e protocananea, supererà il numero di quelli trovati in Siria, Libano e Palestina (che come si sa sono pochissimi). Tale conteggio, naturalmente, per limitarci ad un certo tipo di scrittura che è quella che normalmente intendono per tale i più ( quella lineare con i segni perlopiù schematici) ed escludendo tutta la documentazione (che è poi quella più originale e più fantasiosa) basata sulla cosiddetta scrittura ‘con’ e a ‘rebus’ che riguarda sia gli oggetti che i monumenti della civiltà nuragica.
Quanto poi alla Sardegna che dalla preistoria non si vuole farla passare alla storia dagli anonimi con asterisco e con punti esclamativi, ne parleremo tra non molto. Sempre con i documenti, naturalmente, quelli che, come si dimostra con l’intervento di A. Martometti, non trova (e studia) solo il sottoscritto. O non è così?

SABATO 17 GENNAIO 2009

Qualcuno sa dirci che roba è?

di Alessandro Martometti

Seguo questo blog ormai da tempo, dati il mio interesse verso le sue tematiche e il mio apprezzamento riguardo il livello e i modi che in generale caratterizzano gli interventi qui ospitati.
Pur essendo maggiormente interessato alla materia linguistica che non all'archeologia, mi è capitato ultimamente di lambire i confini proprio di quest'ultima, essendomi stata mostrata, alcuni mesi fa, una lastra di pietra che a occhio e croce parrebbe meritare attenzione in quanto “testimonianza avente valore di civiltà”, come recita la legge sui beni culturali.
Stante la mia scarsa competenza in materia di epigrafia e di paleografia, ne segnalo qui l'esistenza, rimettendo qualunque valutazione in merito a chi abbia conoscenze a riguardo. Si tratta di una lastra litica delle dimensioni di 47x43x10 cm., ritrovata nelle adiacenze del nuraghe Áiga, in agro di Abbasanta; chi la conserva mi ha raccontato di averla già mostrata in passato ad esperti in materia, che l'hanno ritenuta del tutto priva di interesse.
In quanto a me, ritengo invece – spero fondatamente – che alcuni segni che la pietra presenta sulla faccia superiore corrispondano ad altrettanti grafemi del tipo definito da Gigi Sanna, sul suoSardôa Grammata, proto-cananeo.
Secondo lo schema a corredo di questo post, il numero 1 dovrebbe rappresentare un “serpentello proto-sinaitico”, ossia la lettera nun; i numeri 2 e – verosimilmente – 6 due cosiddette Tanit; il numero 3 la lettera shin (simile, mi pare, a quella presente sul “documento di Pitzinnu”); i numeri 4 e 5, infine, due chiare lettere beth.
Ringrazio il curatore del blog per lo spazio che mi vorrà dedicare e passo la parola agli esperti.

La foto meglio dettagliata è nel mio sito [gfp]

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