giovedì, febbraio 11, 2010

Parte 7 - Interviene Alessandro Usai

Alessandro usai commenta così:

VENERDÌ 30 MAGGIO 2008

A proposito di prevenzioni: e voi giornalisti?

di Alessandro Usai

Egregio dott. Pintore,
sono un archeologo della ex-Soprintendenza di Cagliari e Oristano, ora della Sardegna. Le confesso di essere rimasto duramente colpito, e dunque non propenso a rispondere, da quella che l'amico e collega Alfonso Stiglitz ha chiamato invettiva e che invece, a mio parere, è una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti, come purtroppo ormai se ne leggono e se ne sentono dappertutto.
Solo leggere il commento dell'amico Alfonso mi ha rincuorato e incoraggiato a tentare un approccio positivo con Lei, perché da sempre io e Alfonso siamo impegnati per far sì che non si ripeta più questa brutta storia della "torre d'avorio". E se me lo consente, ribalto il titolo del Suo ultimo scritto: "Giornalisti non prevenuti: date segni di vita".
La gente comune non può farlo, ma voi dovete farlo per deontologia professionale: dovete venire ai convegni, alle conferenze, alle presentazioni, alle visite guidate; dovete leggere i libri e le riviste, dovete almeno sfogliarli; dovete sapere e far sapere a tutti quanto si scrive e si parla, quanti archeologi scrivono e parlano, quante importanti novità archeologiche vengono divulgate da noi in Sardegna, in Italia e all'estero. Se veniste a trovarci nei nostri uffici e nei nostri cantieri potreste rendervi conto della massa di lavoro ordinario che ci opprime, e capire che gli scavi, i restauri e le pubblicazioni (queste ultime scritte rigorosamente a casa la sera, il sabato e la domenica) sono ormai un lusso che possono permettersi solo quelli tra noi che reggono fisicamente e mentalmente alla pressione.
Solo allora potreste capire che quello che riusciamo a fare è semplicemente miracoloso.
Dunque, La aspetto. Nel frattempo, perché non aspetti molto, do qualche risposta alle Sue domande. In primo luogo, io e i miei colleghi delle Soprintendenze lavoriamo nello Stato, ma non per lo Stato o almeno non solo per lo Stato; in effetti, lo Stato ci obbliga semplicemente a lavorare per la Repubblica, e quindi soprattutto per la Regione (la nostra Regione Sarda), per le Province, per i Comuni, per i privati cittadini comunque interessati. Noi siamo buoni patrioti, d'Italia e di Sardegna nello stesso tempo.
In secondo luogo, riguardo al fatto che non si sa quando i lavori archeologici finiscano, è importante che i giornalisti sappiano e facciano sapere che i lavori archeologici non finiscono mai, anzi non devono finire mai, ma possono interrompersi in qualsiasi momento. Anzi, dobbiamo sempre tenere la maggior parte per chi verrà dopo di noi. Uno scavo non è come una strada, che si percorre solo quando è finita; uno scavo produce sempre e comunque, e non solo pietre visitabili ma soprattutto conoscenza che, nell'interesse di tutti, deve essere elaborata con un po' di tempo. E in un tempo ragionevole la conoscenza arriva a tutti, ma è importante che i giornalisti facciano il loro dovere di intermediari.
In terzo luogo, le presunte iscrizioni nuragiche. Le notizie non trapelano perchè siamo tenuti alla riservatezza. Lei sa che un falso è un reato, e alcune "tavolette" sono falsi clamorosi anche senza perizie. Altri oggetti sono originali ma non nuragici e nemmeno scritti; infine le pietre in campagna sono cose strane e interessanti, da approfondire col tempo e senza pregiudizi ma anche senza infondata partigianeria. Però la risposta l'ha già data Lei: tavolette, pietre e compagnia bella non sono mai venute fuori negli scavi nuragici! o anche Lei pensa che noi nascondiamo le cose?

Così come qualche giorno fa ho ringraziato del suo intervento Alfonso Stiglitz (Una invettiva disinformata), altrettanto faccio calorosamente con lei, dottor Usai. Tengo a dirle che sono d'accordo con lei su una cosa: la sua critica ai giornalisti è la mia. Di una cosa, però, non può rimproverarmi: che io abbia fatto a qualcuno "una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti". Ho posto problemi generali agli "archeologi non prevenuti", di politica culturale e di uso della comunicazione. A questi lei non ha risposto, come chi ci legge può vedere.

Archeologi non prevenuti: date segni di vita

Per scrivere un romanzo di ambiente archeologico, in molti mesi ho letto pubblicazioni di ogni tipo, ma soprattutto decine e decine di furum e blog. Contenuti a parte (non ho la presunzione di poter giudicare), gli interventi sulla rete segnalano l'interesse che coinvolge una folla imponente di persone. E' un interesse che tanto più cresce quante minori risposte gli utenti di internet trovano, capaci di soddisfare alle loro curiosità e domande.
Vero è, come mi hanno contestato diversi addetti ai lavori con mail non destinate alla pubblicazione, che, forse come mai, le Soprintendenze, sarde e italiane, hanno pubblicato tanti testi come oggi. Ma è il mezzo di diffusione che fa la differenza fra desiderio di informazione e suo appagamento. Le informazioni, oggi, o sono acquisibili in internet o il dire che studi, libri, relazioni, fascicoli universitari ci sono, si assomiglia a un modo di eludere la questione.
Tutti sappiamo che bronzetti nuragici sono stati trovati in territori diversi dalla Sardegna e gli archeologi, non solo sardi, ne hanno dato notizia nei loro studi, ovviamente e necessariamente non diffusissimi. Ma provate a cercarne traccia sul sito della Direzione generale per i Beni archeologici del Ministero. Tanto per avere un quadro complessivo della questione. Al massimo troverete, fra le centinaia di schede, traccia di bronzetti senza padre, anche in musei che con sicurezza ospita qualche esemplare di bronzetto nuragico. E la parola nuraghe e aggettivi derivati è citata solo in relazione alla Sardegna.
Che valgono, in termini di comunicazione di massa, le poche migliaia di copie di roba pubblicata a paragone dei milioni di accessi a quel sito?
Nei forum e nei blog che si occupano di archeologia, si lamentano archeologi che di tanto in tanto intervengono, si leggono sciocchezze e improvvisazioni. Può darsi, ma raramente i critici vanno al di là della scomunica, della denuncia del falso, e forniscono loro interpretazioni. Capita anche che, come è capitato a Giovanni Ugas, impegnato alla scrittura di uno studio impegnativo sugli Shardana, qualcuno polemizzi con il suo libro non ancora pubblicato e neppure terminato di scrivere.
Capita anche che studi come quelli di Gigi Sanna sulla scrittura nuragica vengano contestati non per il merito, ma per il fatto che Sanna non risulta nell'elenco degli abilitati a parlare di queste cose. Capita infine che si vanno trovando pietre e massi incisi con segni che hanno tutta l'aria di essere delle scritte. Un giorno varrà la pena di elencarli (per inciso, è davvero sostenibile che a fare questi ritrovamenti siano solo viandanti, cacciatori, passanti e che le decine di scavatori di professione non ne abbiano trovato alcuno?).
Intorno a questi ritrovamenti o silenzio, o disinteresse o apodittiche affermazioni del tipo "si tratta di falsi".
Personalmente sono convinto che una parte, spero cospicua, di archeologi (della Soprintendenza e no) vivono con fastidio simili atteggiamenti da abitanti in torri d'avorio. In tempi di internet non ci si può comportare come se la comunicazione fosse chiusa nel cerchio ristretto degli addetti ai lavori. E se lo si fa, guai a lamentarsi delle incursioni degli appassionati alla ricerca di risposte.
Se, come penso, ci sono molti archeologi non prevenuti, sereni, aperti alla scoperta, sarebbe bene che dessero segni di vita. Non comunicando solo fra di loro e con chi dispone di tanto danaro da acquistare e leggere le pubblicazioni, ma utilizzando lo strumento di comunicazione globale a libera disposizione di tutti.

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