giovedì, febbraio 11, 2010

Parte 18 - Stiglitz e Losi

LUNEDÌ 21 LUGLIO 2008

Ma la scrittura risponde a necessità economico-politiche

di Alfonso Stiglitz

Caro Gianfranco,
voglio in primo luogo associarmi ai tuoi complimenti per Carlo Figari che con correttezza e sapienza ha saputo dare informazione su un tema archeologico dibattuto e, cosa rara, dando voce anche agli archeologi.
Devo dargli atto (ma, conoscendolo, non avevo dubbi) di essere stato in grado di sintetizzare correttamente in poche righe una conversazione durata più di un’ora. D’altra parte, è evidente che una sintesi, tiranneggiata dagli spazi invalicabili della carta stampata, non possa che rendere secche e categoriche posizioni e argomentazioni in realtà estremamente articolate. Quindi cerco di “riespandere” quelle argomentazioni, rispondendo anche alla chiamata in causa, un po’ supponente (anche in archeologia, come in biofisica, il “referaggio” presuppone una qualche competenza) di Aba Losi.
E parto proprio da un’affermazione a dir poco sorprendente per una ricercatrice, ancorché di Fisica, che dichiara di non capire cosa si intenda per documento scientifico.
Un documento (o, più genericamente, un dato) scientifico è, in campo storico, ma suppongo anche in quello fisico, un documento che ha subito quella che, con brutto termine oggi in voga, possiamo chiamare una validazione: cioè è stato verificato. Mi spiego meglio con quello che insegno nella prima lezione quando, di tanto in tanto, vengo chiamato a insegnare all’Università. La prima lezione è dedicata, ovviamente, ai primi rudimenti metodologici e agli ausili di studio e in essi richiamo due “leggi” della ricerca storica:
1. ogni fonte, fino a prova contraria, è “falsa”; ciò significa che ogni volta che ci troviamo di fronte a un documento di qualsiasi natura dobbiamo effettuare una serie di verifiche per valutare se è un originale, una copia, una falso, dobbiamo capire se è inserito in un contesto (vedi la seconda “legge”), quindi, se supera questi gradini valutare se è veritiero o meno (anche gli antichi dicevano bugie). In altre parole si cerca di insegnare la sana arte del dubbio (non so se anche in Fisica ....).
2. ogni accadimento storico (compresa la scrittura e le iscrizioni) avviene in un tempo e in uno spazio definiti e non in altro; tempo e spazio che vanno identificati.
Queste operazioni trasformano un documento in un “documento scientifico”.
Veniamo al problema della scrittura, dello Stato e della città. Spero sinteticamente.
Ci troviamo di fronte a due distinti problemi. Il primo riguarda la realtà materiale dell’esistenza concreta della scrittura nuragica; il secondo quello del contesto storico in cui la scrittura nasce e si sviluppa.
Per il primo caso la risposta è relativamente semplice ma, evidentemente, legata sempre e comunque allo stato delle conoscenze, perché è sui dati concreti e verificabili che la ricerca storica si muove.
Allo stato attuale delle conoscenze non esiste un documento che sia certificabile, “validabile”, come scrittura nuragica. Gli esemplari di Tziricottu sono, al di là di ogni ragionevole dubbio, matrici altomedievali (dato cronologico) di ambito artistico bizantino (dato culturale) e presenti anche nelle culture coeve, tra cui quella longobarda. Lo dimostrano ampiamente le decine e decine di esemplari simili per forma, aspetto e dimensioni, presenti nelle necropoli di quell’epoca, ben databili in quanto contesti chiusi, situate nella penisola italiana (e quindi, grazie a dio, non scavate ne studiate da quei cattivi e ignoranti di noi archeologi sardi) che il collega Paolo Serra ha richiamato in diverse sedi scientifiche con precisi riferimenti verificabili. A quei dati non è stata data risposta scientifica ma solo insulti e basse ironie, indegne della qualità della persona che li esprime e di quella che li riceve.
I cocci di Orani appartengono ad altro ambito e cronologia; uno presenta caratteri chiaramente fenici, due degli antropomorfi e uno dei chiari simboli di Tanit. Dalle foto (e quindi in assenza di una validazione scientifica) non è possibile stabilire se si tratti di reperti appartenenti allo stesso contesto, ambito culturale e cronologico. Nel caso della scrittura si tratta di elementi privi di problemi di inquadramento, così come per i segni di Tanit, inseribili in note sequenze iconografiche di cui esistono repertori per la Sardegna, Sicilia, Africa, Spagna, Fenicia (dove peraltro c’è l’attestazione diretta della connessione tra il simbolo e la dea Tanit). Anche nel caso dell’interpretazione di questo segno nei “cocci di Orani” si è privilegiato di ignorare totalmente questi studi e repertori eppure solo per la Sardegna le evidenze (che ormai si avvicinano al centinaio) sono chiare e tutte riportabili a definiti ambiti culturali fenici con persistenze sino all’età romano-repubblicana (vedi le case “puniche” di Cagliari).
Nel caso delle iscrizioni su pietra a parte il caso con lettere palesemente di alfabeto latino e l’altra in alfabeto fenicio, per le altre bisogna approfondire con estrema cura l’analisi; ma sino a oggi, manca l’edizione scientifica: non mi sembra che gli attacchi a me o ad altri colleghi possa considerarsi l’equivalente di una spiegazione scientifica, come ho avuto modo di mostrare in un precedente intervento dove ponevo dei precisi riscontri all’iscrizione fenicia, per i quali non ho ricevuto risposte (e non pretendo di riceverle).
L’altro problema che si pone è se l’assenza di una scrittura nuragica “certificata” (sia essa originale o mutuata da altri sistemi di scrittura) sia effettiva o si basi semplicemente sull’assenza di ritrovamenti. Qui il discorso si complica perché, come è noto a chi si occupa anche distrattamente di ricerca storica, assenza di dati non significa che quei dati non esistano. Allora, fermo restando che l’eventuale rinvenimento di nuovi dati porterebbe a creare nuovi modelli interpretativi, resta il fatto che l’assenza di scrittura di per sé non è sorprendente.
In tutte le culture Mediterranee, Europee e Vicino-orientali la scrittura nasce in collegamento con precise necessità politiche ed economiche legate all’accentramento del potere, alla necessità di organizzare questo potere, soprattutto in campo economico, e all’interno di questo in culture di tipo urbano. Nel caso nuragico questi fenomeni non sono presenti per l’epoca dei nuraghi (Bronzo Medio e Recente, grosso modo secondo e terzo quarto del II millennio a.C.), mentre si colgono segni di formazione di processi simili nelle fasi finali della civiltà nuragica, post nuraghi (Bronzo finale e primo Ferro (dal 1200 a.C. in poi). Guarda caso la scrittura come elemento stabile, non occasionale (importato sugli ox-hide ad es.) compare con i primi fenomeni urbani fenici (anch’essi attestati al di là di ogni ragionevole dubbio) che in Sardegna datiamo alla metà dell’VIII sec. a.C. (a Cartagine nella seconda metà del IX sec. a.C. ecc.). Ovviamente possiamo far finta che la fase fenicia non esista, ma non basta prendersela con gli archeologi, bisogna dimostrarlo (e mi sembra difficile).
Altra cosa sono i marchi ceramici che conosciamo e da qualche anno iniziano a essere meglio studiati, in tutto il Mediterraneo.
Quindi scrittura non equivale a società più evoluta e mancanza di scrittura non equivale ad analfabetismo. Parliamo, invece, di differenti strutture economiche e sociali e, ovviamente, di differenti codici di comunicazione di cui la scrittura è uno dei tanti.
Nessuna negazione né della straordinaria qualità della storia della Sardegna né della capacità dei nuragici, vorrei far sommessamente notare che i materiali nuragici oltremare e le capacità di movimento di quella cultura l’hanno provata gli archeologi, spesso e volentieri sardi, con il faticosissimo cercare strato per strato, coccio per coccio, muro per muro, tomba per tomba, le tracce di questa cultura ovunque essa fosse, ma sempre legati a dati concreti, verificabili e discussi.

P.S. Una umile richiesta alla dott. Losi, mi critichi, anche duramente, per affermazioni che faccio e non su “sillogismi” inventati: “i nuragici erano contadini, la scrittura non serviva loro, ergo i nuragici non scrivevano”; non l’ho mai detto né pensato; per di più, mi consenta, le mie pur scarse frequentazioni di Aristotele mi avrebbero portato a formularlo in modo diverso e più logico: “i contadini non utilizzavano la scrittura, i nuragici erano contadini, ergo non scrivevano” e così via. Sarò antipatico ma certe sciocchezze non mi appartengono.

1 COMMENTI:

Aba ha detto...

Gentile sig. Stiglitz
intanto grazie per la sua risposta. La mia domanda su cosa sia un documento scientifico non é ne´ingenua né banale: se ne discute molto, soprattutto in un campo come il mio dove il problema della validazione di teorie e risultati cresce esponenzialmente, parallelamente al numero di dati prodotti e pubblicati. Noi pero´partiamo da presupposti un po´diversi: ogni dato, fino a prova contraria, é vero e se vi sono dubbi viene verificato da esperimenti ripetuti. Mi rendo conto che questo nel suo campo é un po´difficile (un dato archeologico non é un risultato di laboratorio ripetibile).
Io non intendevo attaccare nessuno, ci tengo a dirlo,ma gli anacronismi nell´articolo c´erano eccome e non credo di dover essere una esperta epigrafista o archeologa per permettermi di esprimere la mia opinione. Il sillogismo non l´avro´ri-formulato rigorosamente (tenga presente che ho detto simile, almeno cosi´appariva dalla stampa), ma il take-home message era quello, questo non puó negarlo.
Ripeto, cosí pareva dalla stampa. Quanto alla sua personale opinione, le confesso che io, anche dalla sua lunga lettera di risposta, non l´ho molto capita...
distinti saluti e , se vuole, mi scriva pure al mio indirizzo (lo trova sulla mia homepage).
Aba

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