I fenicisti e il pudore
Mercoledì 26 Novembre 2008 08:30 | ||||
di Gigi Sanna Diciamo francamente che siamo stufi. Sì, stufi di sentir parlare di parchi, soprattutto in una zona che per istituzioni limitative, esclusive e/o pseudoprotettive sembra ormai avere una particolare vocazione. Infatti tra parchi e zone protette il golfo di Oristano vanta già un areale di tutto rispetto: i ![]() La stele di Nora Nella vicenda lo studioso oristanese potrebbe essere in buona fede. Anzi, se si esclude un umano e per questo perdonabile pizzico di (malcelata) vanità per certi suoi studi, diciamo che lo è. Ma la politica proprio no. La politica, si sa, segue spesso vie malsane perché demagogiche ed è particolarmente sensibile, soprattutto in periodo di elezioni (le prossime saranno o a febbraio o in primavera) a recepire idee ritenute innovative sul piano pseudoculturale. Soprattutto quando queste possono richiamare altre idee birichine sul piano economico che evocano altre idee ancora sul piano della dirigenza, dell’organizzazione del lavoro e sul lavoro stesso. Insomma, idee non con solide gambe ma con ruote traballanti da pittoresco carrozzone elettorale. E non ci stupisce pertanto che le due province, con alcuni papabili già in ‘fregola’, abbiano aderito con entusiasmo all’iniziativa. Anzi, a seguire ci sarà forse un parco per la zona della bottarga (‘fenicia’, oltre il resto, a sentire i feniciomani) di Cabras e di S.Giusta; un parco per la zona della vernaccia di Riola, Baratili, Solarussa; un parco per le dune di sabbia, dal Sinis a is Arenas di Arbus; un parco, da Pallosu di S.Vero sino a S’Ena Arrubia di Arborea, per i fenicotteri; un parco per la ‘gioga minudda’ del Sinis; un parco tra Terralba e S.Nicolò Arcidano, per il vitigno del rosso Bovale di Spagna; un parco per la variante dialettale arborense ed un altro ancora per la lingua di mesania di Abbasanta, Paulilatino e Norbello. E perchè no? Forse anche un piccolo parco o parchetto per le case contadine e pastorali del mio ‘brugu’ di Oristano sconvolto in tutte le viscere dalle fameliche ruspe di un’ignorante e inculturata piccola borhesia. Intendiamoci però. Con ciò non si vuole dire che il ‘parco’ (con la nuova accezione semantica) di per sé sia un’istituzione da buttar via. Non lo è di certo quando vuol essere, ma in casi del tutto eccezionali e, soprattutto, democraticamente accettati dalle popolazioni, un modo per tutelare un luogo ed un territorio che altrimenti rischia l’oblio, la desertificazione, lo snaturamento e la morte per totale mancanza di attenzione e di vigilanza. ![]() La pubblicità sul Quando invece si tratta di trovate, di primo mattino e ad occhi ancora cisposi, come quella di un parco archeologico nel/del Golfo di Oristano, la proposta non può essere che essere respinta, e con decisa fermezza. Ma anche perché, oltre alla stravaganza del progetto, v’è ben altro e di più grave in essa; un aspetto che non poteva che suscitare giustamente sentimenti di unanime ed immediata opposizione in ampi settori dell’opinione pubblica, persino di quella - come si dice da noi - di ‘barra bella’, cioè che tutto fagocita e che segue distrattamente le vicende politiche e culturali isolane. L’idea cioè di battezzare, con forza colonizzatrice degna del migliore folclore isolano, il suddetto parco come ‘Golfo dei Fenici’. I feniciomani archeologi isolani (come è stato sottolineato anche con dure parole), davvero non si smentiscono mai, facendo intendere senza un minimo di pudore critico, con la sconcertante proposta di premio ‘nominale’, che Tharros, Othoca e Neapolis erano luoghi la cui impronta storica è stata data particolarmente da colonie di abitanti costieri di origine fenicia. E diremo che se davvero ciò fosse accaduto, se quella cioè fosse stata la vera verità, la proposta, per quanto sempre scandalosa, si sarebbe comunque mantenuta nei limiti della decenza. Di ben altri omaggi, con umiliante offerta del ‘lato B’ ai potenti, i Sardi di sono resi gloriosamente imbecilli. Invece le cose sono andate ben diversamente e la storia l’hanno fatta altri, gli indigeni nuragici ancora vivissimi e vegeti in tutta l’Isola, urbani e non urbani, mica dei ‘barbaricini’ barbari che qualcuno ha tentato di mettere nella riserva indiana prima del tempo. Ed è proprio la ricerca archeologica sarda (e non) più avanzata che da tempo ha ridimensionato il ruolo politico degli abitanti e dei mercanti fenici in Sardegna, non fosse per altro per volontà di superare la nota aporia della presenza storica di una grande forza politica e militare capace, come quella dei nuragici, di annientare, alla fine del sesto sec. a. C., l’armata dei Cartaginesi di Malco intenzionati a rendersi padroni dell’Isola. Tra fenici e sardi nuragici non c’erano dunque affatto rapporti di ‘buon vicinato’, come è stato detto e scritto per salvare capra e cavoli, ma rapporti tra i detentori delle risorse e degli scali e coloro che di queste risorse e di questi scali potevano beneficiare: ma solo a determinate condizioni. Servi insomma questi ultimi, al massimo cauti gestori di stabilimenti e non padroni di porti o addirittura di interi golfi e tanto meno di quello più prestigioso della Sardegna. Anche se servi molto ricchi e capaci di sborsare quanto dovuto per lo sfruttamento della legittima proprietà altrui. I Tirensi, i Sidonii e gli altri abitanti di sofisticata cultura delle città cosiddette ‘fenicie’ erano certamente di casa nelle città costiere sarde, ma lo erano in quanto accettati pacificamente per incremento dell’economia, anche e soprattutto dai loro potenti predecessori ‘giganti’ di eguale etnia, arrivati dalla Palestina; quelli che si erano fusi, nel corso del seconda metà del Secondo Millennio a.C., con popolazioni di differente ceppo linguistico (indoeuropeo) già presenti in Sardegna. Ciò dicono con chiarezza i non pochi documenti scritti nuragici, compresa la stele di Nora la quale per contenuti e per forma denuncia, con rabbia impotente dei feniciomani che l’hanno assunta come bandiera, la sua ‘strana’ sardità (che è in fondo la reale ‘nuragicità’) sia con la presenza del ‘pater sardus’ (aba shardan) di ascendenza religiosa semitica palestinese, citato, tra l’altro, con i suoi appellativi, sia con l’uso di un alfabeto del tutto in linea con l’origine stessa della divinità. Anzi proprio la conferma dell’esistenza dell’alfabeto fenicio arcaico dopo il protosinaitico, il protocananeo e il gublitico nella documentazione scritta nuragica (tra breve si vedranno altri documenti ancora più illuminanti), non può che suggerire il fatto che nel corso dei secoli successivi (a partire dall’XI sec. circa), furono non tanto e solo i fenici della ‘Fenicia’ arrivati nell’Isola, ma anche e soprattutto i nuragici delle coste, a servirsi di un alfabeto più pratico per gli scambi, per i traffici e per i commerci; quello che gli archeologi, gli epigrafisti e gli storici, con miope metodologia, da tempo ritengono di solo uso dei mercanti fenici presenti nelle coste della Sardegna. E, sia detto per inciso, per questo motivo risulta vano sperare, sulle orme di qualche caparbio archeologo, di trovare prima o poi un alfabeto nuragico d’ispirazione etrusca o greca in sintonia con l’uso degli alfabeti in tutte le regioni dell’occidente del Mediterraneo. I nuragici fino ad Amsicora (e forse ancora più in là) l’alfabeto lo usavano perché lo avevano già, da quasi un millennio, e di esso avevano seguito tutta l’evoluzione storica. Dal pittografico religioso al cosiddetto ‘fenicio’ lineare, il nuovo codice, borghese e mercantile, degli inizi del primo Millennio a.C. La stele di Nora a Parigi D’altro canto, come ha sottolineato Gianfranco Pintore, il rischio è anche che la trovata della denominazione archeologica finisca per annullare, anche nelle carte geografiche, la dicitura di Golfo di Aristanis, città erede legittima, come si sa, della Tharsos nuragica e non fenicia. Non a caso (il sangue, si sa, non è acqua) vi nacquero e prosperarono i ‘signori giudici’, gli ‘shardana’ dell’Istituzione dell’indipendenza sarda. Non è chi non veda che il nome di ‘Golfo dei Fenici’, costituirebbe, tra l’altro, un vero e proprio affronto per la loro gloria di fieri oppositori allo ‘straniero’ nonché un evidente disprezzo per la dignità della nostra storia. Roba da ‘sardisti’, dirà qualcuno. Sì, e me ne vanto, perché favole e miti non sono. I miti sono sempre, purtroppo, quelli forestieri. Compresi quelli greco - libici di Iolao e Norace. Oggi più che mai questo vanto mi sento di esprimere. E chi mai potrebbe opporsi con un minimo di orgoglio e di dignità isolana al falso e dilagante partito ‘istranzu’ dei ‘fenicisti’ (oltre che feniciomani) di professione? Non sono forse questi, così come gli ‘italianisti’, i linguisti e gli storici nostrani di ieri e di oggi (quelli che abbiamo talvolta sconfitto nei momenti migliori della nostra unità), sempre disposti e pronti ad emarginarci e a collocarci in una perenne riserva di ‘Barbaria’?
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