MARTEDÌ 2 SETTEMBRE 2008
Mi dispiace: i Nuragici non scrivevano affatto
di Alberto Areddu
Replico, un po’ tardivamente alle parole del Prof. Pittau, secondo il quale due o tre epigrafi o incisioni qua e là recentemente ritrovate (e talora da studiosi della domenica e non archeologi seri, il che indurrebbe a pensare a qualche fake in sedicesimo, sul modello ispirativo delle Carte d’Arborea ottocentesche) dovrebbero indurre a pensare che i Paleosardi conoscevano la scrittura.
All’insigne Prof. manca però il quadro generale del perché si scriva: si scrive quando si ha un certo potere (mercanti, caste religiose) ma questo potere è condiviso con altri che ti controllano: così scrivevano i Micenei di roba commerciale perché così nessuno tra essi potesse contestare la proprietà e la quantità delle cose, scrivevano così i Fenici perché fosse ben chiaro a chi apparteneva un certo bene; e così nasce l’italiano nel ‘200 come lingua di mercanti. Le lingue letterarie sono fenomeni successivi e quasi sempre per il trapassare del potere ai figli dei mercanti, ché i soldi son già stati fatti.
Ora che potere potevano avere i Nuragici all’epoca cartaginese non si sa bene: le continue rivolte indurrebbero a pensare che ne avessero assai poco e che fossero in stato di semicattività come indicano le fonti. Che nel VI secolo ci fosse una locale potenza di SERDOI, che facevano patti con Sibari in greco, è tutto da dimostrare (alcuni hanno letto il sigma iniziale come M, per cui sarebbero dei meno allettanti MERDOI).
Io stesso nel mio ultimo libro ho sostenuto che alcune parole reputate fenicie sono in realtà paleosarde (mastruca, merre, ecc.), ma esse quando ci appaiono, risultano comunque in contesti ideologici esterni. Quindi anche trovassimo due o tre epigrafi (autentiche) in caratteri noti, ma in lingua ignota, questo non vorrebbe affatto dire che esisteva uno strumento di comunicazione in paleosardo, di cui i Paleosardi fossero consapevoli, perché si comunica quando hai un certo potere e altri te lo possono mettere in dubbio: quindi scrittura non significa comunicazione.
Nel Medioevo si iniziò a comunicare in sardo da parte di gente (perlopiù monaci affaristi) che aveva come committenza e come interlocutore altri sardi. Riguardo alle origini i Nuragici dell’epoca d’oro non scrivevano, anche perché, se come ho sostenuto io erano un’elite di origine illirica, costoro non conobbero mai la scrittura, nel senso che non abbiamo, e questo fino a che l’illirico (o anche il trace) non si è estinto, II-III d.C., un qualsivoglia pensiero in tale lingua inciso su una epigrafe, pietra o su foglio, eppure i suoi parlanti vivevano a un tiro di schioppo da Atene! Sono le società mercantili e quelle ieratiche (società stabili) che comunicano: i pastori e i pirati (società in movimento) non hanno alcun interesse. Ci son degli interi popoli europei che accedono alla scrittura nelle loro lingue molto tardi: i Lituani o gli Albanesi ad esempio, eppure le loro lingue sono tra le più conservative d’Europa; il fatto che i Paleosardi non abbiano mai scritto non è quindi un segno del destino, e se non l’hanno fatto, una tabe che i sardi si devo portare dietro a futura memoria.
Vorrei aggiungere a questo proposito un’altra cosa: ci sono in giro delle persone, evidentemente di scarsa inventiva, che piuttosto che lavorare per la scienza lavorano per ricostruire un’immagine falsata del passato. Così come una certa pubblicistica “scientifica” afroamericana tentò negli anni passati di spacciare l’idea che i Greci sarebbero stati dei Puri Negri e così pure gli Egizi, così qualcuno tra noi vuol spacciare -forse per fare ammenda a qualche suo personale difetto di europeità- l’idea che i sardi originari sarebbero stati dei semiti che incidevano sublimi messaggi pittografici: purtroppo per noi, tutto ciò è un’immensa castroneria, che ahimè vedo andar venduta in molte copie. Siccome la persona a cui mi riferisco ha buon humour, la rimando a un mio vecchio divertissement per un altro Forum (testè ricaricato)
LUNEDÌ 25 AGOSTO 2008
Mi dispiace: i Nuragici non scrivevano affatto
di Alberto Areddu
Replico, un po’ tardivamente alle parole del Prof. Pittau, secondo il quale due o tre epigrafi o incisioni qua e là recentemente ritrovate (e talora da studiosi della domenica e non archeologi seri, il che indurrebbe a pensare a qualche fake in sedicesimo, sul modello ispirativo delle Carte d’Arborea ottocentesche) dovrebbero indurre a pensare che i Paleosardi conoscevano la scrittura.
All’insigne Prof. manca però il quadro generale del perché si scriva: si scrive quando si ha un certo potere (mercanti, caste religiose) ma questo potere è condiviso con altri che ti controllano: così scrivevano i Micenei di roba commerciale perché così nessuno tra essi potesse contestare la proprietà e la quantità delle cose, scrivevano così i Fenici perché fosse ben chiaro a chi apparteneva un certo bene; e così nasce l’italiano nel ‘200 come lingua di mercanti. Le lingue letterarie sono fenomeni successivi e quasi sempre per il trapassare del potere ai figli dei mercanti, ché i soldi son già stati fatti.
Ora che potere potevano avere i Nuragici all’epoca cartaginese non si sa bene: le continue rivolte indurrebbero a pensare che ne avessero assai poco e che fossero in stato di semicattività come indicano le fonti. Che nel VI secolo ci fosse una locale potenza di SERDOI, che facevano patti con Sibari in greco, è tutto da dimostrare (alcuni hanno letto il sigma iniziale come M, per cui sarebbero dei meno allettanti MERDOI).
Io stesso nel mio ultimo libro ho sostenuto che alcune parole reputate fenicie sono in realtà paleosarde (mastruca, merre, ecc.), ma esse quando ci appaiono, risultano comunque in contesti ideologici esterni. Quindi anche trovassimo due o tre epigrafi (autentiche) in caratteri noti, ma in lingua ignota, questo non vorrebbe affatto dire che esisteva uno strumento di comunicazione in paleosardo, di cui i Paleosardi fossero consapevoli, perché si comunica quando hai un certo potere e altri te lo possono mettere in dubbio: quindi scrittura non significa comunicazione.
Nel Medioevo si iniziò a comunicare in sardo da parte di gente (perlopiù monaci affaristi) che aveva come committenza e come interlocutore altri sardi. Riguardo alle origini i Nuragici dell’epoca d’oro non scrivevano, anche perché, se come ho sostenuto io erano un’elite di origine illirica, costoro non conobbero mai la scrittura, nel senso che non abbiamo, e questo fino a che l’illirico (o anche il trace) non si è estinto, II-III d.C., un qualsivoglia pensiero in tale lingua inciso su una epigrafe, pietra o su foglio, eppure i suoi parlanti vivevano a un tiro di schioppo da Atene! Sono le società mercantili e quelle ieratiche (società stabili) che comunicano: i pastori e i pirati (società in movimento) non hanno alcun interesse. Ci son degli interi popoli europei che accedono alla scrittura nelle loro lingue molto tardi: i Lituani o gli Albanesi ad esempio, eppure le loro lingue sono tra le più conservative d’Europa; il fatto che i Paleosardi non abbiano mai scritto non è quindi un segno del destino, e se non l’hanno fatto, una tabe che i sardi si devo portare dietro a futura memoria.
Vorrei aggiungere a questo proposito un’altra cosa: ci sono in giro delle persone, evidentemente di scarsa inventiva, che piuttosto che lavorare per la scienza lavorano per ricostruire un’immagine falsata del passato. Così come una certa pubblicistica “scientifica” afroamericana tentò negli anni passati di spacciare l’idea che i Greci sarebbero stati dei Puri Negri e così pure gli Egizi, così qualcuno tra noi vuol spacciare -forse per fare ammenda a qualche suo personale difetto di europeità- l’idea che i sardi originari sarebbero stati dei semiti che incidevano sublimi messaggi pittografici: purtroppo per noi, tutto ciò è un’immensa castroneria, che ahimè vedo andar venduta in molte copie. Siccome la persona a cui mi riferisco ha buon humour, la rimando a un mio vecchio divertissement per un altro Forum (testè ricaricato)
Cari archeologi sardi, sentiamoci
In questi ultimi giorni, ho ricevuto da un archeologo portoghese e da un epigrafista tedesco che sono in grado di arricchire, e non di poco, le discussioni sull’archeologia in corso su questo blog. Il portoghese professor Fernando Rodrigues Ferreira, letto l’articolo di Gigi Sanna sul “coccio di Orani” e esaminata la fotografia a corredo, scrive di aver trovato 67 iscrizioni che sembrano aver qualche cosa in comune con il reperto sardo.
“Si tratta” scrive l’archeologo “di iscrizioni inedite in Portogallo e cerco ovunque riferimenti paralleli”. Domanda proposte di interpretazione che io giro, ovviamente, a chi sappia cosa dire. Qui si provano le tre foto che Rodrigues Ferreira mi ha inviato.
Le seconda mail è di un epigrafista, il professor Herbert Sauren, che i lettori di questo blog già conoscono. La traduco così come mi è arrivata.
“Io penso che sarebbe una buona cosa discutere fra colleghi i problemi di interpretazione dei testi. Lavorare ciascuno nel proprio buco non ha molto senso e non aiuta a rintracciare e ricostruire il passato. Secondo me, la Sardegna era una tappa nel cammino verso la Penisola e la Francia. Per principio, io sono interessato a tutti questi testi (quelli pubblicati sul blog, NdR), ma si ha bisogno di disegni e foto leggibili”.
Un invito cui è impossibile negare fondatezza, naturalmente, e che, per quel che conta, faccio mio, mettendo, come sempre, a disposizione questo spazio.
Aggiunge con ironia, e in polemica con Sanna (vedi fra l'altro), il professor Sauren: “Allego l’immagine di una moneta con il simbolo della Tanit, la dea del cielo (!), di modo che leggere Yahwe sarebbe una bestemmia agli occhi degli ebrei e del Papa”.
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